Reverse Factoring: benefici e prospettive del credito di filiera
La tecnica di Reverse factoring rappresenta uno degli schemi emergenti di Supply Chain Finance a supporto del capitale circolante delle imprese. Molteplici i vantaggi per gli attori coinvolti ma anche alcuni aspetti critici che possono limitare la diffusione dello strumento. [1]
Negli anni recenti si è progressivamente diffuso l’utilizzo di soluzioni di Supply Chain Finance (Scf), che comprendono un ampio ventaglio di tecniche di finanziamento e di mitigazione del rischio connesse ai rapporti commerciali tra imprese.
La diffusione della Scf comporta il passaggio da un approccio tradizionale, nel quale la singola impresa si relaziona in modo indipendente con un intermediario creditizio, a una visione di filiera in cui l’impresa sfrutta, nella relazione creditizia, il proprio ruolo all’interno della supply chain e le relazioni con gli altri attori della stessa.
In Europa, il fiorire di tali strumenti è altresì la conseguenza della recessione economica seguita alla crisi finanziaria globale del 2007 e in particolare della restrizione creditizia, che ha portato le imprese a esplorare nuove fonti di finanziamento. Inoltre, secondo il Scf Barometer 2018/2019 (Pwc e Supply Chain Finance Community, 2019), la gestione del capitale circolante da parte delle imprese europee è migliorata solo marginalmente negli ultimi anni, mostrando una durata del ciclo monetario della gestione che permane a livelli elevati. La causa è da attribuire soprattutto ai ritardi nei pagamenti tra le imprese, che portano a un allungamento dei tempi di incasso dei crediti commerciali. Questo fattore è fonte di tensione finanziaria per le imprese fornitrici, soprattutto di piccole e medie dimensioni, che sono maggiormente disposte ad accettare tempi più lunghi di pagamento da parte delle grandi imprese a causa del minore potere negoziale e del timore di danneggiare le relazioni commerciali (Vva e Milieu, 2018; Cerved, 2020). Il Reverse factoring che rappresenta uno degli schemi emergenti di Scf. Oltre a descrivere il funzionamento dell’operazione, sono illustrati i vantaggi per gli attori coinvolti, nonché gli aspetti critici che possono frenare la diffusione dello strumento.
La struttura del reverse factoring
Il Reverse factoring rappresenta la soluzione emergente di Supply Chain Finance più adottata, o quella sulla quale si sta concentrando il maggiore interesse delle imprese in vista di una possibile implementazione, seguita dal dynamic discounting (Pwc e Supply Chain Finance Community, 2019).
In Italia, in particolare, il Reverse factoring rappresenta ancora una quota marginale (11% circa) del turnover totale (Assifact, 2020), tuttavia si tratta di una delle soluzioni di Scf che negli ultimi anni hanno manifestato i maggiori tassi di crescita.
Tale operazione, conosciuta anche con la denominazione di factoring indiretto o di credito di filiera, si sviluppa attraverso una convenzione in base alla quale un’impresa acquirente, in partnership con un intermediario finanziario, offre ai propri fornitori la possibilità di ricevere il pagamento anticipato dei propri crediti mediante cessione dei medesimi all’intermediario.
In alcuni casi, la cessione è sostituita dal mandato al pagamento (confirming), ma la struttura finanziaria dell’operazione è analoga. Il Reverse factoring è di norma rivolto a società di grandi dimensioni, che presentano un portafoglio di fornitori ampio e frazionato e sono orientate a razionalizzare e a rendere più efficiente la gestione del proprio ciclo passivo. Con la sottoscrizione di un contratto di factoring e l’adesione alla convenzione, i fornitori hanno la possibilità di accedere a linee di credito dedicate a condizioni privilegiate, beneficiando anche dello standing creditizio dell’impresa buyer (azienda focale, o anchor party). Il contratto di Reverse factoring può essere concluso con la clausola pro soluto o pro solvendo. L’accordo con l’intermediario, inoltre, può prevedere l’anticipo dei crediti oppure il loro accredito a scadenza. Spesso, all’impresa buyer è concessa una dilazione sui termini originari di pagamento, che le consente di beneficiare di un allungamento della durata del proprio ciclo passivo senza influenzare negativamente i flussi di cassa della propria base di fornitori.
I benefici dell’operazione
Per l’impresa focale, la stipula di una convenzione di Reverse factoring comporta molteplici vantaggi.
Il principale beneficio consiste nell’ottimizzazione e programmazione della tesoreria e dei flussi finanziari. Un ulteriore significativo vantaggio riguarda l’uniformità e la semplificazione delle procedure amministrative legate alla contabilità fornitori.
Il fatto di interagire con unico interlocutore per la trasmissione del flusso di informazioni, riconoscimenti e pagamenti, comporta una riduzione dei costi operativi. Inoltre, tali operazioni rafforzano le relazioni con i fornitori, con un potenziale miglioramento della qualità dei livelli di servizio. Infine, come anticipato, l’acquirente ha la possibilità di chiedere una estensione dei termini di pagamento. In seguito alla stipula della convenzione di Reverse factoring, l’azienda leader fornisce all’intermediario creditizio i nominativi dei fornitori strategici su cui operare. L’intermediario si impegna a valutare e ammettere – a proprio insindacabile giudizio – le imprese fornitrici segnalate e caratterizzate da una situazione economico-finanziaria che dimostri la continuità aziendale, sia pure in presenza di difficoltà finanziarie temporanee. I successivi passaggi operativi che conducono alla concessione della linea di affidamento auto liquidante dedicata allo smobilizzo dei crediti verso l’azienda leader sono concordati direttamente tra l’intermediario creditizio e l’azienda fornitrice.
Dal punto di vista dei fornitori, i vantaggi consistono in una maggiore regolarità dei flussi finanziari e nella possibilità di trarre beneficio dallo standing creditizio dell’impresa acquirente, con una conseguente riduzione del costo del debito (Pwc e Supply Chain Finance Community, 2019).
Pertanto, il Reverse factoring consente di far leva sul merito creditizio e sulla capacità imprenditoriale dell’azienda leader della filiera a sostegno delle minori capacità di ottenimento del credito delle sue aziende fornitrici. Inoltre, in caso di cessione without recourse, il rischio di inadempienza dell’acquirente è trasferito all’intermediario creditizio. La rilevanza del merito creditizio dell’azienda focale ai fini della stipula della convenzione di Reverse factoring fa sì che possano accedere a tale strumento solo le imprese buyer che superano un processo di pre-screening effettuato dall’intermediario creditizio, ossia le aziende con elevato standing creditizio, elevata solidità patrimoniale e che dimostrino una scrupolosa puntualità nei pagamenti. I fattori che dovrebbero essere presi in considerazione dai fornitori, per valutare un invito del buyer a aderire a un programma di Reverse factoring, riguardano:
- l’impatto sui flussi di cassa: poiché la rapidità del riconoscimento delle fatture da parte del buyer è cruciale per ottenere benefici in termini di flussi di cassa, è importante che il fornitore sia in grado di negoziare l’introduzione di una clausola contrattuale che assicuri l’approvazione delle fatture entro un determinato periodo di tempo;
- l’effetto sui costi di finanziamento: occorre considerare che il programma di Reverse factoring comporta l’accesso del fornitore a una linea di credito dedicata, a cui è applicato un tasso di interesse inferiore, essendo legato al rating dell’azienda leader, rispetto a quello sugli affidamenti già in essere;
- l’impatto sulle forme di finanziamento già in corso: è opportuno valutare quale potrebbe essere la conseguenza sui prestiti già in essere, nel caso in cui l’impresa focale, di dimensioni rilevanti e con un elevato standing creditizio, uscisse dal portafoglio clienti in seguito alla mancata adesione al programma da parte del fornitore;
- il beneficio del rapporto di collaborazione con l’acquirente: per i fornitori, la partecipazione a uno schema di Reverse factoring può rafforzare la relazione con l’impresa cliente, con la possibilità di istituire barriere all’uscita del buyer dal rapporto e l’opportunità di siglare nuovi contratti di fornitura di lungo termine.
Aspetti critici per la diffusione del Reverse factoring
L’onboarding dei fornitori può risultare particolarmente oneroso. Sia gli intermediari finanziari, sia gli attori della supply chain concordano sul fatto che l’onboarding è l’attività che comporta il maggior grado di difficoltà, tra quelle previste nel set-up di un programma di Scf e in particolare, di uno schema di Reverse factoring (McKinsey & Company, 2015). In media, solo il 15% dei fornitori di un’impresa risulta eleggibile per le soluzioni di Reverse factoring (Pwc e Supply Chain Finance Community, 2019). In particolare, si tratta di imprese con le quali il buyer intrattiene relazioni di lungo periodo, che incidono significativamente sui costi di fornitura, che influenzano notevolmente il costo, la qualità e il grado di differenziazione del prodotto finale; in altri termini, si tratta di fornitori strategici nell’ambito della filiera produttiva.
La base di clientela target del Reverse factoring è rappresentata da imprese di media dimensione, mentre i fornitori di dimensione inferiore rischiano di restare esclusi, a causa del costo e della complessità dell’onboarding, nonché del maggiore profilo di rischio (rilevante nel caso di operazioni with recourse).
Dopo aver deciso di stipulare la convenzione, l’impresa acquirente ha la necessità di riorganizzare i propri processi interni, coinvolgendo le proprie funzioni IT, del controllo di gestione, quella legale e la compliance. Inoltre, occorre che il buyer acquisisca la fiducia dei propri fornitori, al fine di ottenere la loro adesione al programma, illustrando loro i benefici reciproci. Il fatto che la base dei fornitori comprenda operatori domestici ed esteri può rappresentare un ulteriore elemento di complessità. Infine, occorre effettuare una valutazione del rischio di inadempienza delle imprese aderenti al programma, nonché dei rischi operativi riguardanti la performance della catena del valore (ad esempio, la qualità dei prodotti, il rischio di furto e di danneggiamento degli stessi). A queste attività si aggiungono gli adempimenti richiesti relativamente ai processi di KYC (Know Your Customer), CDD (Customer Due Diligence) e AML (Anti Money Laundering), che possono differire nei diversi ordinamenti. Tuttavia, l’innovazione tecnologica può consentire, agli operatori che offrono soluzioni di Scf, di migliorare l’efficienza del processo di onboarding, con la possibilità di estendere tali schemi anche agli attori che rappresentano gli anelli più piccoli della catena del valore.
Resta tuttavia un aspetto che può influire negativamente sulla diffusione del Reverse factoring, di fronte al quale l’avanzamento tecnologico non può fornire una seppur parziale soluzione. In particolare, le maggiori agenzie di rating a livello internazionale ritengono che il Reverse factoring possa alimentare l’esposizione dell’azienda buyer e delle imprese supplier al rischio di liquidità, nello scenario in cui l’azienda focale subisca un deterioramento del proprio merito creditizio e l’intermediario finanziario revochi la linea di credito. Questo rischio è maggiore nei casi in cui il Reverse factoring è accompagnato da dilazioni di pagamento. Inoltre, traendo spunto da casi aziendali specifici (ad esempio, il fallimento dell’impresa britannica di costruzioni Carillion nel 2018), le agenzie di rating sottolineano l’esigenza che il debito contratto dall’azienda buyer verso l’intermediario creditizio, corrispondente al valore delle forniture da pagare a scadenza secondo i termini concordati, debba essere opportunamente evidenziato nel bilancio (Fitch,2018; Moody’s, 2019; Standard & Poor’s, 2020). In caso contrario, le imprese buyer potrebbero occultare parte della propria esposizione finanziaria, che invece sarebbe accresciuta dall’allungamento dei tempi di pagamento.
La riclassificazione tra i debiti finanziari da parte delle agenzie di rating può produrre un impatto negativo su una molteplicità di ratios finanziari dell’impresa leader di filiera,
tra cui il rapporto di leverage, il gearing ratio, il quick ratio e il current ratio,
oltre che sui flussi di cassa indicati nel rendiconto finanziario (Deloitte Australia, 2017). Di conseguenza, possono risentirne il rating formulato nei confronti dell’impresa leader della filiera e, a cascata, le condizioni applicate ai suoi fornitori nell’ambito del programma di Reverse factoring. La riunione del Ifrs Interpretations Committee tenutasi a giugno del 2020, non sembra aver fornito un contributo determinante per stabilire in modo definitivo il trattamento contabile delle passività dell’impresa buyer, connesse a un programma di Reverse factoring. Si lascia, infatti, alla valutazione dell’impresa focale, la decisione di indicare tali passività in modo distinto dalle altre, qualora questa rappresentazione possa essere utile per comprendere la situazione finanziaria della stessa. Stante l’attuale situazione, appare rilevante sottolineare che una maggiore trasparenza sull’uso degli strumenti in oggetto rappresenta un importante driver per accrescere la consapevolezza sulle potenzialità che essi possono esplicare se applicati senza comportamenti opportunistici.
[1] Il presente articolo è estratto da Querci (2021), Supply Chain Finance e Reverse factoring: catene del valore e liquidità delle imprese dopo la pandemia, Bancaria, n. 1.