La diversity nel factoring: intervista a Stefania Spalluti di Sace
Assifact ha realizzato una prima indagine su “Diversità e inclusione nel settore del factoring”, i cui contenuti sono il frutto del lavoro svolto da un gruppo di lavoro coordinato da Stefania Spalluti, Responsabile Talent Aquisition di Sace. La diffusione fra gli operatori del settore delle politiche orientata alla tutela della diversità risulta ancora poco omogenea ma si registrano numerose azioni indirizzate allo sviluppo di una cultura aziendale sul tema
Diversità e inclusione (D&I) rappresentano una sfida molto importante per il mondo del lavoro e un tassello fondamentale per uno sviluppo sostenibile.
Gli intermediari creditizi e finanziari operanti nel settore del factoring sono consapevoli che la diversità rappresenta un importante asset aziendale, utile ad affrontare le tematiche societarie e di business da più angolazioni, creare discontinuità e innovazione negli approcci, migliorare la reputazione aziendale e attrarre talenti.
In ambito associativo, si è registrato molto interesse a capire lo stato dell’arte del settore, la diffusione di policy in materia e soprattutto l’evoluzione in corso, proprio nella convinzione che valorizzare e integrare le diversità non porti solo vantaggi per il singolo lavoratore ma arricchisca e accresca le aziende nel complesso. Per questi motivi e per aumentare la diffusione della cultura della diversità e dell’inclusione, grazie anche ad analisi di benchmark, Assifact ha realizzato una prima indagine su “Diversità e inclusione nel settore del factoring”, i cui contenuti, basati su elementi di grande concretezza, sono il frutto del lavoro svolto da un gruppo di lavoro creato ad hoc e coordinato da Stefania Spalluti, Responsabile Talent Aquisition di Sace.
Con il supporto di Stefania Spalluti, analizziamo e commentiamo le risultanze principali di questa prima indagine, in termini sia di risultati aggregati che di azioni successive che il settore può porre in essere.
In un mondo come quello creditizio e finanziario che si caratterizza per la centralità delle relazioni e che sembra aver maturato consolidate esperienze in ambito di D&I, perché il settore del factoring ha sentito il bisogno di avviare un’indagine specifica sulla diversity?
Dalle prime discussioni nel GdL, ci siamo accorti che solamente i Factor che facevano parte di grandi gruppi bancari/finanziari avevano già intrapreso iniziative in ambito D&I. Attraverso l’indagine volevamo stimolare una riflessione e incentivare chi non aveva ancora “approcciato” la tematica nonché mettere in rilievo alcuni temi, partendo dai risultati, per poi proporre attività e progetti da sviluppare insieme. Aprirsi ad una politica aziendale inclusiva ha enormi vantaggi e nessuno svantaggio: si può migliorare sensibilmente sia in termini di employer branding, attrazione e retention dei talenti, che di produttività e infine, dal punto di vista del business, nella relazione con i clienti.
Quali sono i principali aspetti indagati nel questionario e quali sono gli eventuali criteri adottati per le scelte?
Gli aspetti maggiormente indagati sono il genere e l’età sia dal punto di vista dei percorsi di carriera che di compensation. Dal punto di vista qualitativo, abbiamo posto l’attenzione sullo stato dell’arte delle iniziative già in corso come, per esempio, l’applicazione di una policy DE&I (Diversity, Equity & Inclusion), seminari o corsi di formazione, politiche che favoriscono la genitorialità. Per questa prima indagine abbiamo voluto porre l’accento maggiormente sul gender e l’intergenerazionale avendo maggiore facilità nel rilevare KPI che possano essere oggettivamente misurati, confrontati e migliorati in vista della prossima survey.
La prima indagine si focalizza quindi principalmente sulla diversità di genere. L’analisi restituisce per il settore del factoring la fotografia di una situazione in equilibrio o emergono aspetti particolari o critici?
Nel complesso si rileva un buon balance di genere, ma se andiamo ad osservare la ripartizione per inquadramento ci accorgiamo che la quota di donne diminuisce sensibilmente. Per semplificare, si assumono equamente donne e uomini ma il percorso di carriera è differente, sbilanciato più sul genere maschile.
L’indagine mostra in effetti che il 47% dei dipendenti del settore è rappresentato da donne ma la percentuale cambia focalizzando l’analisi sull’inquadramento e in particolare diminuisce all’aumentare del livello. Per le categorie “Dirigenti”, “Quadri Direttivi” e “Impiegati” le donne rappresentano rispettivamente il 20,71%, 36,60% e 57,77%. I manager di prima linea (si intende la prima linea dell’AD incluso l’AD stesso) sono prevalentemente uomini (79% vs 21% donne).
Il rapporto fra il valore medio della Retribuzione Annua Lorda degli uomini e quella delle donne è pari a 1,36 ed è maggiormente visibile nelle funzioni di staff.
Il 14% circa delle società ha ottenuto una certificazione in materia di Gender Pay Gap.
Nella metà delle società sono adottate policy aziendali di non-discriminazione formalizzate e visibili a tutti i dipendenti e stakeholders, la maggior parte delle quali comprende un elenco di differenze, e sono previsti network dei dipendenti (Employee Resource Groups) dedicati alla diversità e inclusione. Con medesime percentuali è diffuso lo svolgimento di attività di formazione o servizi/iniziative sulla D&I per i dipendenti. Il management aziendale è frequentemente coinvolto (71% dei casi) nella promozione dell’inclusione, pur in assenza di un adeguamento formalizzato delle organizzazioni aziendali con una persona all’interno Azienda o del Gruppo con responsabilità operative sulla D&I e un budget dedicato alle iniziative di inclusione (figura presente nel 43% delle società intervistate).
Quali azioni possono essere intraprese per migliorare questi primi risultati e da dove consiglieresti di partire nel breve termine?
Per prima cosa, a livello di singola legal entity, bisogna coinvolgere il management che deve comprendere la centralità di questi temi ed avere un forte commitment per realizzare politiche ed iniziative specifiche e dedicate, al fine di rendere l’azienda più inclusiva. Nel breve termine, come Associazione, potremmo sfruttare la rete di relazione tra gli Associati per condividere best practice (i.e. policy DE&I) e organizzare seminari formativi/informativi sui vari stream in modo da condividere competenze e conoscenze e favorire la diffusione e il consolidamento di una cultura inclusiva.
L’indagine ha fornito utili informazioni al settore per prendere coscienza della situazione e sensibilizzare sulla necessità di fare di più. Con questo studio si è concluso il lavoro di indagine? E quali altre iniziative dovrebbero essere sviluppate in ambito associativo?
L’indagine è stata solo il punto di partenza, come Gdl vogliamo lavorare su questi temi ed arrivare alla prossima survey con sensibili miglioramenti. Nei progetti abbiamo immaginato periodici aggiornamenti e progressive integrazioni: in questa prima edizione, il lavoro si è concentrato in particolar modo su uno dei profili della diversità, il gender balance, con l’intenzione di pervenire nel tempo a livelli maggiori di granularità e ampiezza d’indagine.
In conclusione, la diffusione fra gli operatori del settore delle politiche orientata alla tutela della diversità risulta oggi ancora poco omogenea e spesso guidata dalle Capogruppo. Si registrano tuttavia, nell’ambito delle attività già in corso, azioni indirizzate allo sviluppo di una cultura aziendale sul tema: iniziative di sensibilizzazione, policy su equità di genere, iniziative di formazione, ecc.
Appare cruciale in questa prospettiva il ruolo del management, come controparte in grado di guidare e dare concretezza al cambiamento culturale. Tale ruolo può essere valorizzato attraverso specifiche iniziative formative e informative, il cui impatto può essere misurato anche con l’ausilio di specifici KPI di performance per integrare profili connessi all’inclusione nel sistema premiale.
Il settore è in cammino per raggiungere questi importanti obiettivi e il Gdl Diversity di Assifact vuole dare il suo contributo.