Factoring 2024: un mercato stabile tra sfide economiche e regolamentari
Le imprese italiane, secondo un’indagine di Banca d’Italia, segnalano un peggioramento delle aspettative economiche nell’ultima parte del 2024. Le incertezze economico-politiche e i timori su prezzi delle materie prime e politiche di scambi commerciali internazionali influenzano negativamente le prospettive a breve termine. Tuttavia, il mercato del factoring ha mostrato resilienza, registrando una crescita di oltre l’1% nel 2024, nonostante le sfide del contesto economico e normativo
Secondo l’indagine sulle aspettative di inflazione e crescita, condotta periodicamente da Banca d’Italia presso le imprese italiane dell’industria e dei servizi non finanziari con almeno 50 addetti, e diffusa da qualche giorno con riferimento all’ultima parte del 2024, i giudizi sulla situazione economica generale sono peggiorati. Nelle valutazioni delle imprese la domanda si è indebolita, in particolare quella proveniente dall’estero e quella rivolta al comparto dei servizi. Le prospettive sulle proprie condizioni operative a breve termine sono complessivamente sfavorevoli; vi incidono l’incertezza economico-politica e, in misura più contenuta, i timori sull’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche e, specialmente tra le imprese esportatrici, sulle politiche circa gli scambi commerciali internazionali.
In questo scenario, che sconta anche una situazione dell’anno appena trascorso sicuramente difficile per l’economia da vari punti di vista, è rassicurante notare come il mercato del factoring abbia complessivamente tenuto nel 2024, acquistando crediti per circa 290 miliardi di euro, con un tasso di crescita, se si tiene conto dell’andamento in declino dei crediti derivanti dai bonus edilizi, di oltre l’1%, e si appresti a iniziare l’anno nuovo con aspettative di sviluppo nell’intorno del 2-3% su base annua.
Ciò dipende probabilmente dal fatto che il factoring, anche in presenza di condizioni esterne non del tutto favorevoli, continua a rappresentare una soluzione efficace per la gestione del capitale circolante delle imprese, anche nelle loro relazioni con l’estero (è in corso un’importante indagine promossa dall’Associazione per cogliere il ruolo del factoring nell’internazionalizzazione delle imprese italiane), costituendo, anche sul piano formale, una formula per regolare le relazioni tra le parti coinvolte sempre convincente e al centro del dibattito giuridico.
Anche nel caso dei crediti vantati dalle imprese verso la PA, l’intervento del factoring consente a quest’ultima di conciliare tempi di pagamento ancora decisamente lunghi con le esigenze di liquidità dei propri fornitori, assicurando così la continuità di beni e servizi pubblici essenziali al Paese. Come tutti sappiamo, la normativa europea sulla definizione di default non ha peraltro finora riconosciuto in pieno la specificità dei crediti commerciali, che sono diversi da quelli finanziari, ed ha penalizzato il factoring, comportando un assorbimento di capitale innaturale (perché connesso a un rischio di default solo formale – il classico falso positivo – che a conti fatti non si traduce in perdite effettive), a svantaggio finale delle imprese, in termini di disponibilità e costo del credito. Si tratta di una situazione paradossale, che ad un esame affrettato potrebbe addossare all’industria del factoring la responsabilità di un problema che è invece della PA. La soluzione non può che partire dal piano normativo e regolamentare, oltre che ovviamente dal miglioramento delle abitudini di pagamento della PA, che riguarda quindi il contesto europeo e dei soggetti istituzionali che lo governano. MEF e Banca d’Italia hanno mostrato grande attenzione e sensibilità al tema, ma da soli non possono fare miracoli. L’occasione del nuovo CRR3 e delle linee guida EBA potrebbe essere propizia.