Dall’Europa spinta a innovazione e digitalizzazione con la sostenibilità al centro
La trasformazione digitale 5.0, a differenza del Piano Industria 4.0, è sostenibile e non è più la mera sostituzione uomo-macchina/intelligenza artificiale. Non è più una minaccia per il lavoro umano, ma un’opportunità per migliorare le condizioni di lavoro e creare nuove professionalità
Tecnologie, digitale, innovazione sono un trinomio fondamentale che ha guidato la 4° rivoluzione digitale per spingere non solo l’industria ma tutti i settori dell’economia verso la resilienza e la maggior produttività. L’Europa ne ha tratteggiato profondamente le linee di indirizzo ed ha sollecitato i paesi membri ad adottare politiche adeguate a rispondere all’esigenza di trasformazione in atto delle economie. Da qui in Italia è nato nel 2016 il Piano Industria 4.0 arrivato, seppur con diverse evoluzioni, fino ad oggi.
Non v’è dubbio che Industria 4.0 sia stata il trampolino di lancio della trasformazione digitale dell’economia italiana. Il piano Industria 4.0, lanciato dal governo italiano con forte ritardi rispetto ai Governi degli altri Stati membri – in Germania già nel 2011 – ha determinato un forte spostamento della politica industriale sulle nuove tecnologie e sulla digitalizzazione dell’industria, puntando a modernizzare in primis le infrastrutture produttive e a promuovere l’innovazione e l’efficienza. Significativi sono stati i progressi tecnologici, soprattutto in alcuni settori chiave come l’automazione industriale, la robotica, l’intelligenza artificiale e l’IoT (Internet delle Cose). Ma l’obiettivo primario di questa trasformazione disruptive ha puntato soprattutto a recuperare il gap di produttività, accelerare l’economia e la competitività delle imprese a livello globale e locale.
Una trasformazione digitale dell’economia italiana avviata innestando principalmente nuove tecnologie nell’industria manifatturiera ma che ha tentato poi di ampliare la sfera di azione: settore agricolo, sanità, settore farmaceutico, gli stessi servizi innovativi, il settore finanziario, quello energetico, il turismo, tutti i settori hanno avviato la trasformazione digitale che le recenti crisi, pandemica, energetica e poi il cambiamento degli equilibri geopolitici legati al conflitto russo ucraino, hanno accelerato in forma esponenziale.
Oggi molte imprese sono ancora nel pieno di questa trasformazione 4.0 ma, dopo il New green deal, oggi è la stessa Europa che detta chiare linee di indirizzo su come orientare questa profonda trasformazione digitale a beneficio dell’ecosistema intero, Governi-sistemi economici – cittadini, in ottica win-win-win.
Sovranità digitale europea, nuova economia dei dati, metaverso e intelligenza artificiale, internet of things, sono tutti elementi che arricchiscono e insieme determinano un nuovo paradigma di sviluppo che non è più solo economico o culturale ma soprattutto sociale.
Non più solo efficienza e produttività profitto, ma attenzione al benessere sociale e al rispetto dell’ecosistema ove convivono in simbiosi imprese, istituzioni, cittadini: l’innovazione e la digitalizzazione diventano leve della sostenibilità economica, ambientale e sociale.
A differenza dell’Industria 4.0, che si è concentrata sull’automazione e sulla connessione dei processi produttivi, il nuovo paradigma 5.0 dovrà infatti integrare la tecnologia digitale con lavoratori, i prodotti e i servizi, creando un sistema di produzione più flessibile, adattabile e rispettoso dell’ambiente.
In sintesi, non è la sostenibilità ad avere bisogno dell’innovazione, la relazione causa effetto è rovesciata: è l’innovazione ad avere oggi bisogno della sostenibilità, dei suoi valori e delle sue metodologie, per ottenere gli effetti più significativi sullo sviluppo economico e sociale.
In fondo, a ben riflettere il nuovo paradigma 5.0 sintetizza ed integra applicandoli all’industria 4.0, la vision dell’Agenda 2030, le politiche del New Green Deal e i 3 Pilastri della sostenibilità per l’Unione Europea: Environment, Social, e Governance, ovvero i tre fattori fondamentali per verificare, misurare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una organizzazione. Ma ne aggiunge uno che diventa altrettanto strategico, tanto da diventare l’elemento cardine dello sviluppo 5.0: l’uomo al centro.
L’uso della tecnologia diventa strategico per l’uomo, libera risorse, tempo, energia e creatività. La trasformazione digitale 5.0 è sostenibile, non c’è più sostituzione uomo-macchina/intelligenza artificiale, non è più una minaccia per il lavoro umano, ma un’opportunità per migliorare le condizioni di lavoro e creare nuove professionalità.
Ora va da sè che l’indirizzo dell’Europa, chiaro e pienamente condivisibile, deve essere calato nelle strategie paese dai singoli Governi degli Stati membri e velocemente perché i cambiamenti sono sempre più repentini, 5 anni di attesa non sono più possibili per declinare una nuova strategia di sviluppo industriale.
In Italia il Governo, anche forte delle numerose risorse del Repower eu, dovrà mettere a terra velocemente un nuovo piano industriale per completare e rafforzare il processo di digitalizzazione, puntando alla semplificazione normativa (poche regole, chiare e facilmente declinabili nell’operatività quotidiana dalle imprese) e alla razionalizzazione delle politiche di incentivazione senza disperdere le risorse in troppi capitoli di investimento/incentivo. E poi massicci investimenti nell’immateriale, nel software e IT made in Italy e nei servizi innovativi per accompagnare l’ultimo miglio della digitalizzazione delle PMI. E’ opportuno ricordare che il tessuto imprenditoriale italiano è costituito da tantissime piccole imprese: se non si digitalizza l’intera catena produttiva e di servizi, a monte e a valle, la trasformazione digitale resta una chimera.
Infine la formazione. Competenze e conoscenze adeguate ai cambiamenti diventano asset strategico e l’elemento su cui necessariamente investire. Da un lato occorre ridisegnare il sistema di istruzione, adeguandolo alle nuove sfide; dall’altro serve incidere pesantemente sul sistema di upskilling e reskilling delle risorse umane uscite dal ciclo di studi. Un obiettivo sfidante per il Sistema Paese, non facile da perseguire ma senz’altro indispensabile per rendere resiliente il sistema e rispondere anche agli obiettivi sostenibilità.