Commissioni tecniche in Assifact: Vittorio Giustiniani e i temi in ambito legale

Vittorio Giustiniani è Responsabile Servizio Governo Societario BPER Factor S.p.A. e coordinatore della Commissione Legale Assifact. Espone qui le sue considerazioni sulle proposte della Commissione in ambito di Revocatoria concorsuale, crediti commerciali verso la PA, e  revisione della misura dei tassi di interesse dall’Erario in ipotesi di ritardato rimborso dei crediti di imposta

  1. La Commissione Legale Assifact, di cui è il Coordinatore, sta portando avanti da tempo una proposta di emendamento in materia di revocatoria. Può spiegarci cosa prevede la proposta?

Da alcuni anni l’Associazione sta promovendo un progetto di riforma della revocatoria concorsuale avente per oggetto le cessioni di credito, sulla base di alcuni presupposti: la modifica del contesto socioeconomico rispetto a quando tale istituto è stato coniato; la specificità della cessione del credito; i riflessi della revocatoria nel panorama di accesso al credito. Gli studi del settore hanno evidenziato come le procedure liquidatorie hanno risvolti sulla quantità e sulle condizioni del credito, e come anche la durata delle procedure influisce sul tasso di recupero, con un effetto economico positivo.

In questo ambito troviamo una pluralità di interessi non convergenti. Vi sono i creditori, che chiedono un rafforzamento della propria posizione per ampliare la domanda di accesso al credito con una riduzione dei costi; le imprese, che evidenziano i maggiori costi connessi all’insolvenza, da cui può conseguire una riduzione degli investimenti; e infine le procedure, chiamate a gestire profili di risanamento in un’ottica di prosecuzione dell’attività o di liquidazione dei beni, nel rispetto della par condicio creditorum.

In tale scenario molto articolato si innesta la proposta di Assifact, che si pone due obiettivi principali: l’armonizzazione del periodo sospetto tra le previsioni della L.n.52/91 e quelle dell’art. 166, 2° comma, codice della crisi; e l’esenzione dalla revocatoria per le cessioni di credito.

Relativamente all’armonizzazione del periodo sospetto, vi è un disallineamento tra la previsione di cui all’art. 7 L.n.52/91 (periodo sospetto 1 anno) rispetto al dettato dell’art. 166 2° comma del codice della crisi (periodo sospetto 6 mesi). Da anni l’associazione chiede quanto meno un’armonizzazione dei due termini temporali, portando a 6 mesi anche il termine previsto dall’art.7 della L.n.52/91. Purtroppo, l’emanazione del codice della crisi, che poteva costituire un’opportunità per realizzare tale armonizzazione, ha lasciato invariata la situazione in essere. Si sta cercando di perseguire tale finalità di armonizzazione anche mediante l’allineamento terminologico della legge n.52/91 al codice della crisi che, come è noto, non utilizza più i termini di “fallimento” e di “fallito”. Inoltre, si cerca di proporre la modifica normativa nei vari ambiti in cui, di volta in volta, è concesso inserirsi.

Riguardo l’esenzione dalla revocatoria per le cessioni di credito, è utile ricordare che lo strumento della revocatoria ha subito negli anni sostanziali modifiche attraverso le esenzioni introdotte con la riforma dell’art. 67 L.F., a dimostrazione di una costante attenzione del Legislatore al mutare dei tempi e agli interessi che coinvolgono le procedure e il ceto creditorio.

Ma al Legislatore viene chiesto un ulteriore sforzo di riforma, partendo dai presupposti dell’azione revocatoria e rivalutando i molteplici aspetti che caratterizzano tale azione. Mi riferisco alle osservazioni già svolte dalla dottrina riferite all’ambito temporale del c.d. periodo sospetto, e al regime probatorio che viene graduato in relazione alla natura dell’atto impugnato, a seconda che esso sia a titolo gratuito, o anomalo in quanto caratterizzato da un rilevante squilibrio tra le prestazioni, ovvero conforme a parametri di normalità: in base cioè alla maggiore o minore idoneità dell’atto a suscitare il (ragionevole) convincimento che possa essere stato compiuto allo scopo di favorire o danneggiare taluni creditori.

Chiediamo, insomma, uno sforzo di riforma in cui si veda il superamento del fine di ricostruzione dell’attivo dell’imprenditore in default con finalità essenzialmente redistributiva (distribuire la perdita dell’insolvenza)[1].

Circa l’esenzione dalla revocatoria per le cessioni di credito contro corrispettivo, la proposta di Assifact muove dall’assunto che nella fattispecie in argomento, in cui al credito si sostituisce il denaro, non vi sarebbe alcuna lesione né in termini di danno né di violazione della par condicio creditorum. Infatti, dal punto di vista economico l’operazione è neutra, considerato che l’imprenditore ha sostituito una liquidità futura (rappresentata dal credito), con una liquidità corrente (costituita dal corrispettivo in denaro); e mancherebbe ogni forma di danno per l’imprenditore, prima, e per l’eventuale procedura, poi.

 

  1. Nell’ambito delle procedure concorsuali, ci sono elementi che possono far rimeditare lo strumento della revocatoria?

Come è noto, nell’ordinamento italiano la revocatoria non trova il proprio fondamento nella teoria indennitaria, ma persegue la finalità redistributiva della perdita. Un’eccezione a tale principio lo si trovava nel codice della crisi all’art. 167 ccii (ex art 67 bis[2] l.f.) che disciplina la revocatoria dei patrimoni separati, in cui tra i due presupposti per la revocabilità del patrimonio destinato si prevede la conoscenza dello stato di insolvenza della società (e non del patrimonio destinato); e il pregiudizio sul patrimonio della società.

Viene prevista, quindi, la necessità dell’eventus damni, aderendo così alla concezione indennitaria. E, per quanto già evidenziato, nella cessione di credito contro corrispettivo, dove al credito si sostituisce denaro, mancherebbe ogni forma di danno.
Quanto sopra considerando, altresì, che l’istituto revocatorio costituisce, nell’ottica del Legislatore, uno strumento di prevenzione e sanzione di comportamenti distorsivi e confliggenti con il corretto svolgimento del mercato. Ma tale comportamento distorsivo nel presupposto sopra evidenziato non potrà ricorrere.

Si potrà controvertere sul quantum del corrispettivo della cessione, ma se questo è pari al valore nominale del credito detratti i costi dell’intervento manca ogni forma sia di danno sia di comportamenti distorsivi. E, in ordine al costo del corrispettivo, senza voler dare indicazioni sul prezzo, si evidenzia che quali ulteriori presidi di tutela previsti dalla legge si possono richiamare la previsione di cui all’art. 166, comma 1, ccii, (per le prestazioni eseguite dal debitore che sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso); e le disposizioni in tema di usura.

Si consideri, inoltre, che nel panorama italiano gli intermediari finanziari sono soggetti vigilati, e questo potrebbe costituire ulteriore presupposto per una valutazione positiva della esenzione dalla revocatoria per le cessioni di credito contro corrispettivo.

Così come appare opportuno aggiungere che lo stesso Legislatore in tema di cessione di crediti certificati ha escluso la revocabilità di tali cessioni (e ulteriore ipotesi di esenzione è prevista in tema di cartolarizzazione). Da cui la legittimità della richiesta di esenzione dalla revocatoria a tutte le cessioni di credito contro corrispettivo eseguite a favore di soggetti vigilati.

Inoltre, occorre considerare che lo stesso principio della Par Condicio Creditorum è posto in discussione. A tal riguardo si evidenzia come la par condicio, da alcuni anni, è oggetto di ampio dibattito in ordine al “se” si possa ancora parlare di par condicio sotto un duplice profilo: se sia realmente funzionale all’efficienza complessiva del sistema, considerata la finalità della revocatoria; la sussistenza delle numerose deroghe che si riscontrano nel sistema vigente.

In ordine a questo secondo aspetto, meritano richiamo: le classi dei creditori che creano disuguaglianze di trattamento tra gli stessi; la facoltà del debitore di pagare solo alcuni creditori (art. 100 ccii); le ipotesi di cause di prelazione e di prededuzione; la segregazione dei patrimoni (in cui i creditori del patrimonio segregato hanno maggior tutela in quanto non concorrono con i creditori del patrimonio generale); i piani attestati; il concordato preventivo; ossia tutte situazioni in cui si rinviene una differenziazione di trattamento dei creditori in antitesi alla par condicio. E in tale ambito è stato sottolineato come la soluzione possa cambiare a seconda della considerazione della prevalenza della tutela del credito o della tutela della continuità di impresa.

Nel codice della crisi si può rilevare un prevalere degli interessi dell’imprenditore su quello dei creditori per effetto della diversa considerazione del concorso, da strumento di attuazione di garanzia patrimoniale (la finalità liquidatoria), a strumento della gestione della crisi dell’impresa in una prospettiva dinamica valorizzando il complesso produttivo. Prospettiva dinamica in cui si rinvengono, però, un coacervo di interessi e che ha consentito di affermare che l’impresa è multistakeholder e tutti i portatori di interessi devono essere soddisfatti, considerato che apportano un contributo utile allo svolgimento efficiente dell’attività economica.

E proprio in considerazione di tale profilo è necessario evidenziare che gli interessi dei creditori hanno differenti caratterizzazioni, il che ha portato lo stesso Legislatore, come sopra ricordato, a delineare strumenti di diversificazione del loro trattamento. Da cui la domanda se il principio della par condicio possa ancora dirsi effettivamente sussistente quale regola generale o non sia stata degradata rispetto alla differenziazione di trattamento.

 

  1. La Commissione si occupa spesso anche del tema dei crediti commerciali vantati verso la Pubblica Amministrazione, con riferimento sia al profilo della cessione di tali crediti, che presenta peculiarità e criticità, sia a quello più generale delle modalità e tempistiche di pagamento di tali crediti. Ci sono novità in questo ambito?

La legge di bilancio 2024 riporta alcune previsioni rilevanti che, limitatamente agli aspetti di interesse per le società di factoring, concernono specifici ambiti.

Mi riferisco, innanzitutto, alla previsione per le amministrazioni pubbliche, diverse dalle amministrazioni dello Stato e dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale, che presentano un disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2021, al netto del debito autorizzato e non contratto, superiore a euro 1.500 pro capite, di predisporre un piano di rilevazione del debito commerciale al 31.12.2023 da pubblicare sull’albo pretorio. Tale piano è finalizzato a conseguire contributi per un importo di 20 milioni annui dal 2024 al 2033 vincolati, in via principale, al ripiano annuale del disavanzo e, per la parte residuale, alle spese riguardanti le rate annuali di ammortamento dei debiti finanziari. L’erogazione di tale contributo è subordinata alla sottoscrizione di un accordo da formalizzarsi con il Presidente della Regione entro il 15 febbraio 2024, in cui la Regione deve assumere determinati impegni.

È però rilevante la previsione in base alla quale, a seguito della predisposizione del piano di  rilevazione dei debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2023, gli enti ne  danno avviso tramite affissione all’albo pretorio on line entro il 31 gennaio 2024 e adottano ogni forma idonea a pubblicizzare la formazione del piano di rilevazione, assegnando un termine perentorio, a pena di decadenza, non inferiore a sessanta giorni per la presentazione  da parte dei creditori delle richieste di ammissione. La mancata presentazione della  domanda nei termini assegnati da parte dei creditori determina l’automatica cancellazione del credito vantato.

Una seconda rilevante previsione riguarda gli accordi transattivi da parte dei citati Enti, a saldo e stralcio per i creditori che hanno avanzato la proposta di pagamento che oscilla dal 40% all’80% delle ragioni di debito, con una maggiore penalizzazione per i crediti aventi aging più datata, e con rinuncia a ogni altra pretesa, e la liquidazione obbligatoria entro venti giorni dalla conoscenza dell’accettazione della transazione. Quindi, il creditore non solo si deve attivare con la richiesta di ammissione al passivo, a pena della cancellazione del credito, ma deve anche “subire” l’effetto dello stralcio che sarà maggiore in base agli anni di “anzianità” del credito, con rinuncia alle ulteriori pretese.

Se tutto ciò può trovare una motivazione in base al principio del dissesto degli enti, dall’altro lato impone comunque la riflessione di come il ceto creditorio sia chiamato, da un lato, a rendersi parte attiva al fine di non perdere le proprie ragioni di credito e, dall’altro lato, dopo aver atteso per anni il pagamento del proprio credito, subisce uno stralcio che sarà tanto maggiore quanto più il credito ha anzianità in termini di arretrato.

Infine, ai sensi del comma 462, della Legge di bilancio 2024, nei confronti della liquidità derivante dai contributi annuali di cui sopra e dalle riscossioni annuali, non sono ammessi sequestri procedure esecutive. Le procedure esecutive eventualmente intraprese non determinano vincoli sulle somme. Dalla data di approvazione del piano di rilevazione dei debiti commerciali di cui al comma 460, e sino al completamento della presentazione da parte della regione delle proposte transattive di cui al comma 461, non possono essere intraprese o proseguite procedure esecutive per i debiti inseriti nel predetto piano, e i debiti non producono interessi né sono soggetti alla rivalutazione monetaria. Le procedure esecutive pendenti alla predetta data, nelle quali sono scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nel piano stesso dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. I pignoramenti eventualmente eseguiti dalla data di approvazione del piano di rilevazione e sino al momento della presentazione di tutte le proposte transattive ai creditori non vincolano l’ente e il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e per le finalità di legge.

Viene reintrodotto il principio dell’improcedibilità che avevamo già visto in altri contesti, in quanto la liquidità costituita dai contributi è vincolata al ripianamento nei debiti e non può essere oggetto di azioni esecutive. Dall’altro lato l’improcedibilità delle azioni esecutive, già oggetto di pronuncia di incostituzionalità da parte della Suprema Corte di Cassazione su provvedimenti analoghi, è stata reintrodotta, e anche in tale contesto non possiamo esimerci dal sottolineare come la tutela del credito e il principio di equilibrio degli interessi contrapposti siano disattesi a discapito del ceto creditorio.

E questo è un aspetto rilevante sotto molteplici profili in quanto non favorisce la certezza del diritto e di parità di condizioni; non favorisce soggetti esteri a investire in realtà in cui non si sa quando un soggetto paga; non vi è certezza di una tutela giuridica delle proprie ragioni e dei tempi di recupero del credito, considerato che, ad esempio, la proposta di pagamento del 40% sopra richiamato è riferito ai crediti aventi un’anzianità maggiore di 10 anni.

In questo scenario di mancata realizzazione di istanze e/o aspettative di tutela, appare opportuno richiamare la recente modifica dei termini per il rifiuto, da parte della Pubblica Amministrazione, delle cessioni di crediti in tema di appalti. L’originario termine dl 45 giorni dalla notifica dell’atto di cessione è stato ridotto a 30 giorni, e ciò favorirà l’accelerazione del processo di smobilizzo dei crediti derivanti dai contratti di appalto a favore delle imprese, che potranno immettere in azienda i capitali necessari per investimenti, riorganizzazione, essere a propria volta rispondenti verso i propri creditori, favorire anche gli investimenti verso la transizione.

Il volano del working capital è un aspetto rilevante, e in questo contesto le società di factoring sono sempre state presenti quale supporto delle aziende e per tali profili si chiede una maggiore attenzione affinché questo supporto possa essere sempre più efficace, attesi i riflessi del factoring anche in termine di PIL.

 

  1. Il Governo e il Parlamento stanno lavorando sulla Riforma Fiscale, ed è stato annunciato l’avvio di una consultazione pubblica sui testi unici recanti il riordino dell’ordinamento fiscale e su tutti i decreti legislativi che richiederanno nuovi o maggiori oneri per le finanze pubbliche. Su questo fronte ci sono temi che l’Associazione sta portando avanti?

Assifact si è fatta promotrice di una proposta di revisione della misura dei tassi di interesse da riconoscere da parte dell’Erario in ipotesi di ritardato rimborso dei crediti di imposta (iva e imposte dirette) risultanti dalle relative dichiarazioni.

Nell’attuale contesto macroeconomico caratterizzato da misure volte a contrastare l’inflazione e di politica monetaria restrittiva, il tasso di interesse riconosciuto sui ritardati rimborsi non appare più adeguato e pone i contribuenti nella situazione di avere ingenti immobilizzi in attesa di rimborso a tassi bassi e di doversi finanziare sul mercato a tassi più elevati. Inoltre, va evidenziato come ad oggi si rinvengono una pluralità di situazioni che si diversificano in base alla tipologia di credito e alla sua decorrenza. Ad esempio, in tema di credito iva risultanti dalle dichiarazioni annuali, i rimborsi devono avvenire entro 30 gg dalla presentazione della dichiarazione con riconoscimento degli interessi con decorrenza dal 90 giorno successivo a quello della presentazione della dichiarazioni in tema di imposte dirette. Invece, gli interessi sono dovuti dal versamento del maggior importo ad esclusione del primo semestre.

 

La proposta di revisione è stata sottoposta in un momento di riforma fiscale che è sempre un atto di rilevante importanza nel panorama nazionale per la pluralità di obiettivi coinvolti nel rispetto dell’equità fiscale, e che coinvolge anche la riforma del contenzioso, delle sanzioni, della lotta all’evasione e della fiscalità internazionale. In questo panorama si innesta la richiesta di revisione degli interessi riconosciuti sui ritardati rimborsi da parte del l’Erario dei crediti di imposta proprio nell’ottica di equità di trattamento. Quando lo Stato è creditore, esige un tasso di interesse sulle somme che i contribuenti devono pagare. Altrettanto deve avvenire quando è lo Stato a essere debitore, con rispondenza ed equilibrio tra tasso di interesse passivo e tasso attivo.

Quanto sopra nella consapevolezza che il tasso passivo andrà a incidere sul bilancio dello Stato ma che il rispetto del principio di equità non può essere disatteso. A oggi la richiesta si è incentrata sull’allineamento al tasso legale ritenendo che lo stesso possa costituire il termine di riferimento per tutti i debitori, sia privati che pubblici, quando ritardano i pagamenti e, dall’altro lato, suscettibile degli adeguamenti tempo per tempo considerato il suo aggiornamento su base annuale.

1 In ordine al tema della revocatoria la stessa è definita quale “strumento diretto alla ricostruzione del patrimonio del soggetto in default e quindi all’effettiva attuazione del concorso sostanziale di tutti i creditori”. Ma a tali finalità si contrappone l’esigenza di «certezza dei traffici commerciali e dei rapporti giuridici», messi a repentaglio da un uso di tale strumento di realizzazione dell’attivo concorsuale.

2 Gli atti che incidono sul patrimonio destinato ad uno specifico affare previsto dall’art. 2447 bis, primo comma, lett.a), cod. civ., sono revocabili quando pregiudicano il patrimonio della società. Il presupposto soggettivo dell’azione è costituito dalla conoscenza dello stato di insolvenza della società.