Il ruolo del Diversity Manager: intervista a Riccardo Basso
La valorizzazione e lo sviluppo delle risorse umane sono temi centrali in ogni realtà economica; non si può prescindere dalla gestione delle diversità intesa come rispetto, integrazione e inclusione delle minoranze. Ne parliamo con Riccardo Basso, Gestore delle diversità di Banca d’Italia, che ci introduce grazie alla sua esperienza ai compiti e alle caratteristiche del ruolo e ci evidenzia i motivi per cui è importante che il settore finanziario si occupi di diversità e inclusione.
Il tema della sostenibilità nelle sue diverse componenti identificate dai fattori ESG (Environmental, Social, Governance) è diventato ormai centrale, o dovrebbe esserlo senza ulteriori indugi, in ogni realtà economica.
L’attenzione della Banca d’Italia a queste tematiche è sempre stata alta. Per il ruolo istituzionale di supervisione del mercato finanziario, numerosi sono stati gli interventi e i contribuiti riferiti ai cambiamenti climatici e agli aspetti ambientali, a cui sono correlati rischi diretti per l’economia e il sistema finanziario, interventi volti a sensibilizzare gli operatori creditizi e finanziari e a condurre alla formazione di policy specifiche. La Banca d’Italia, conciliando i compiti istituzionali con l’impegno verso le tematiche ambientali e sociali, ha inoltre manifestato la consapevolezza che la crescita economica sostenibile e duratura passa certamente attraverso un percorso per la transizione ecologica ed energetica che però non può trascurare i profili sociali, ambientali e di governo, strettamente correlati. In questo ambito, grande importanza è attribuita alla questione della valorizzazione e dello sviluppo delle risorse che non può prescindere dalla gestione delle diversità intesa come rispetto, integrazione e inclusione delle minoranze.
Ne parliamo con Riccardo Basso, Gestore delle diversità di Banca d’Italia, che ci introduce grazie alla sua esperienza ai compiti e alle caratteristiche del ruolo e ci evidenzia i motivi per cui è importante che il settore finanziario si occupi di diversità e inclusione.
Prima di fare il Diversity Manager si è occupato a lungo di regolamentazione; ha dunque lavorato in un campo molto diverso: consiglierebbe un cambiamento di questo tipo a chi, ad esempio in una banca o in una società finanziaria, si occupa di temi diversi dall’HR?
Effettivamente ho lavorato per più di 20 anni nel campo della regolamentazione bancaria e finanziaria; l’interesse per le tematiche della valorizzazione delle persone all’interno delle organizzazioni mi ha poi portato a cambiare mestiere. Oggi si parla molto dell’esigenza di fare tanti lavori diversi per la crescita professionale e umana. Sicuramente è stato così nel mio caso: il cambiamento ci consente di osservare il mondo, e noi nel mondo, da un diverso punto di vista e questo è un arricchimento incredibile. Nello specifico consiglierei di occuparsi di D&I a tutte le persone che sentono il tema particolarmente vicino e ne hanno fatto un oggetto di riflessione sulla base di esperienze e percorsi di vita personali.
Cosa si intende per “Diversity Management” e perché è così importante che sia presente nelle realtà lavorative?
Diversity Management (o, come si dice oggi, Equity, Diversity, Inclusion and Belonging Management) designa l’insieme delle attività volte a fare evolvere un’organizzazione secondo un paradigma che intende valorizzare ogni persona nella sua unicità e promuovere la diversità di pensiero. Le aziende tendono ad occuparsene sempre di più per una serie di ragioni. Innanzitutto c’è una crescente richiesta dalla società, soprattutto dalle nuove generazioni, di dare il giusto valore alle persone per le loro caratteristiche, soprattutto quando esse si riconoscano in gruppi minoritari o svantaggiati. Essere datori di lavoro attrattivi oggi vuol dire farsi carico con convinzione di questo aspetto centrale. Si è anche capito che una persona, se riconosciuta nel suo valore specifico, è messa nelle condizioni di esprimere più potenzialità, dunque di lavorare meglio e contribuire di più all’impresa collettiva. C’è poi la diversità di pensiero: team diversificati per caratteristiche personali, esperienze di vita, percorsi personali e professionali hanno di gran lunga maggiori probabilità di leggere la realtà in maniera sfaccettata e di individuare soluzioni innovative ai problemi: questo è sempre più irrinunciabile oggi, visto che abbiamo preso consapevolezza della complessità del nostro mondo e quindi dell’esigenza di operare osservandolo dal più ampio numero possibile di punti di osservazione e secondo approcci sistemici. Infine, ogni organizzazione ha stakeholder molto diversificati (ad esempio i consumatori o, per le istituzioni pubbliche come la Banca d’Italia, la cittadinanza): valorizzare le diversità al proprio interno è la precondizione per intercettarne i bisogni e corrispondervi adeguatamente.
Cosa prevede il ruolo e quali caratteristiche dovrebbe avere un Diversity Manager?
Per una serie di ragioni le organizzazioni possono tendere a svilupparsi secondo paradigmi che favoriscono l’omologazione (delle persone e del pensiero): occorrono dunque politiche e azioni specifiche che le orientino verso gli obiettivi di valorizzare ogni persona nella sua unicità e promuovere la diversità di pensiero. Il Diversity Manager ha il compito di promuovere, facilitare, in alcuni casi attuare quelle azioni e quelle politiche. Allo stesso tempo, può accadere che alcune persone incontrino problemi pratici o attraversino periodi di disagio legati a una loro situazione particolare: in questo caso il Diversity Manager può rappresentare per loro una figura di ascolto e un punto riferimento all’interno dell’organizzazione.
Per la mia esperienza un Diversity Manager dovrebbe innanzitutto avere un’alta consapevolezza dell’importanza del ruolo, per l’azienda e per la società nel suo complesso, e buone chiavi di lettura delle dinamiche intersoggettive e del contesto organizzativo. Penso anche che siano molto utili alcune caratteristiche personali quali la predisposizione all’ascolto, l’empatia, la fiducia, la curiosità per l’umano, la pazienza e l’umiltà.
Va da sé che queste caratteristiche dovrebbe averle anche chi lavora a supporto del Diversity Manager. In questa prospettiva, è molto utile che con questa figura collaborino alcune persone con una formazione in psicologia, del lavoro o delle organizzazioni, e sociologia: in questo modo è possibile sviluppare letture più competenti e approfondite del contesto.
Quali sono le policy e principali iniziative da sviluppare?
I fronti su cui lavorare sono molto numerosi. Ne citerò alcuni. Innanzitutto, è imprescindibile che il commitment del vertice sia univocamente percepito da chiunque nell’organizzazione: questo conferisce credibilità alle azioni intraprese. Altra leva fondamentale, per orientare l’organizzazione verso i cambiamenti desiderati, è la pianificazione strategica.
Nel concreto, occorre lavorare sulla cultura organizzativa, accompagnandone l’evoluzione verso una conoscenza e una presa di consapevolezza diffuse dell’importanza dei temi legati alla D&I e del percorso che l’organizzazione e ciascuna persona al suo interno devono fare per affermarli. Si lavora poi sulle leve HR, ad esempio per superare eventuali bias che esse contengono, e renderle in grado di accomodare le esigenze di persone con diverse caratteristiche.
Un discorso a parte merita il tema dell’accessibilità per chi ha una disabilità: qui occorre lavorare sulla logistica, sulle procedure informatiche, sulle modalità di produzione della documentazione, sui processi e sulle prassi di lavoro.
Infine, penso che sia molto importante coinvolgere le persone, dar loro gli strumenti per promuovere i temi D&I in azienda, ad esempio nei comportamenti quotidiani o partecipando a un employee resource group.
Che consigli darebbe alle organizzazioni che devono cominciare da zero questo percorso, da dove si comincia?
A mio avviso occorre innanzitutto tematizzare l’argomento all’interno dell’organizzazione: prendere consapevolezza di cosa significa e dei vantaggi che possono discendere dall’attuazione convinta di politiche D&I. Qui è necessario, secondo me, superare un equivoco di fondo molto diffuso: D&I non vuol dire occuparsi solo delle politiche di genere ovvero di minoranze; questi sono elementi qualificanti e irrinunciabili delle politiche D&I ma il successo delle azioni intraprese è legato anche al loro inserimento in una cornice più ampia, che faccia perno sull’unicità di ciascun individuo. Altrimenti è difficile coinvolgere tutte le persone in questa impresa ambiziosa e, inoltre, si rischia di creare zone d’ombra, in primis quelle legate all’intersezionalità, ossia la riconducibilità di una persona a due o più gruppi minoritari o svantaggiati.
Perché è importante che anche il settore finanziario si occupi di diversità e inclusione?
Si dice spesso che la finanza sia un mondo particolarmente alpha-male. Molti operatori da tempo ne sono consapevoli e hanno avviato azioni importanti; ci sono anche iniziative dei regolatori per incentivare un adeguato equilibrio di genere negli organi aziendali e l’attuazione di politiche di D&I. Per poter leggere la realtà in maniera adeguata e prendere decisioni solide è imprescindibile, come detto, che vi possano concorrere punti di vista e sensibilità differenti.
C’è poi una ragione ulteriore: il business finanziario, nell’orientare l’allocazione delle risorse, influenza l’evoluzione dell’economia. Una maggiore consapevolezza del rilievo dei temi della D&I da parte del sistema finanziario può senz’altro favorire una maggiore attenzione anche in altri settori.