Next normal anche per il factoring
Prima il cambiamento climatico, poi la pandemia, ora la guerra in Ucraina. Ormai è evidente che l’evoluzione dello scenario economico e finanziario non è più caratterizzata da una sequenza di punti di relativa stabilità, interrotta ogni tanto da eventi eccezionali, ma dal susseguirsi di discontinuità ed eccezionalità di varia natura e manifestazione
Non ha più senso in questo contesto parlare di “new” normal, forse meglio “next” normal, come suggerito da alcuni, a testimonianza del fatto che la “normalità” non è più tra noi ed è destinata a essere presto sconvolta da nuovi fatti imprevedibili.
Allora forse anche il termine “resilienza”, preso a prestito da altri linguaggi e discipline e intesa come la capacità di ritornare allo stato iniziale dopo una perturbazione che ha prodotto un allontanamento da quello stato, è destinato a essere abbandonato; essere resilienti non è più necessariamente una virtù mentre lo è la capacità di essere pronti al cambiamento che può prendere direzioni inattese.
Questo riguarda ad esempio i piani industriali delle imprese, che devono essere meno “scolpiti nella pietra” e più improntati alla flessibilità (pensiamo solo alla capacità di tenere conto delle previsioni sul PIL, oppure alle reazioni all’andamento dei prezzi delle materie prime); i modelli di business che devono saper evolvere anche rapidamente grazie a una capacità di ascolto e apprendimento, che spesso non è il punto di forza di molte istituzioni; le organizzazioni che devono diventare agili e adattive (e questo può contrastare con gli stessi principi di una “stabile organizzazione”).
Tutti a parole siamo affascinati dalle innovazioni, ma detestiamo, salvo casi particolari, i cambiamenti che ci riguardano. La resilienza ci è stata di aiuto nell’affrontare l’imprevisto ma può diventare un vincolo. A titolo di esempio si pensi all’attuale dibattito sulla sorte del smart working, che bene esprime il difficile trade off tra resilienza e apertura al cambiamento.
Il factoring si è dimostrato nel tempo pronto ai cambiamenti e non certo solamente resiliente. Importato dai mercati anglosassoni negli anni Sessanta, si è adattato rapidamente al contesto italiano e negli anni settanta e ottanta è diventato uno strumento creditizio fondamentale nello scenario che vedeva i prestiti bancari sottoposti a importanti limitazioni (massimale sugli impieghi e vincolo di portafoglio, che i banchieri vintage ben ricordano). Successivamente esso è stato un supporto complementare al credito bancario, grazie alle componenti non finanziarie (gestione dei crediti e copertura dei rischi) presenti nel mix di servizi del factoring.
Nel tempo si è trasformato per essere un importante supporto per i fornitori della pubblica amministrazione, caricando sulle proprie spalle lentezze e inefficienze del regolamento dei debiti commerciali di quest’ultima. È oggi anche protagonista della supply chain finance, di cui è stato nei fatti precursore con il reverse factoring, e si accinge a svolgere un ruolo importante anche nelle crisi d’impresa, ove già oggi alcuni factor sono attori chiave.
Per il factoring, quindi, il next normal non è una novità e il settore, grazie a operatori dotati di equilibri di gestione e capacità manageriali invidiabili e a una grande capacità di ascolto dei bisogni della clientela, è pronto a nuove sfide, anche sul fronte della sostenibilità.